sabato 1 ottobre 2016

An american restaurant in Florence (Italy)


La ragazzona bionda in salopette e con le guance coperte di efelidi ci accolse festosa sulla porta del locale: "Bienvenuti, vollete cenarei?… " invitandoci ad entrare con un sorriso scintillante. Già una domanda così superflua di solito mi cambia l'umore e la considerazione di chi me la propone perché è ovvio che se entro in un ristorante non è per comperare un paio di scarpe o altro, ma non ebbi tempo di dolermene perché lo sguardo sconcertato di mia moglie Morena arrivò a destinazione come una rasoiata e non aveva torto. Nella mia personale recherche du temps perdu con cui, a suo dire, l’affliggo ad ogni nostra vacanza, appena usciti dall'albergo l’avevo fatta scarpinare avanti e indietro tra Palazzo Vecchio, San Lorenzo e Santa Croce alla ricerca di una piccola e deliziosa trattoria casalinga in cui mi aveva portato anni prima un collega fiorentino e dove si mangiava toscano autentico, tra tagliate di manzo, carciofi fritti, trippe e ribollite preparate dalla mamma e dalla nonna del proprietario in una linda cucinetta che sembrava quella di casa.


La mia "lei" durante il nostro primo viaggio a Firenze.
Spumantina come al solito.

Ricordavo solo che vi si accedeva da una specie di sottoportico tra alcune viuzze strette e vagamente il nome. Alla fine, chiedendo e richiedendo, l’avevo rintracciata, però qualcosa non quadrava, a cominciare dall'accento della ragazza, tragicamente americano. Ora, io, in genere, malgrado a volte ce la mettano tutta, da almeno quarant'anni non ho più problemi di antiamericanismo ma sapendo come il loro unico contributo alla gastronomia mondiale siano stati il Big Mac, la Cesar salad e gli spaghetti scotti con il ketchup e le meatballs tendo a diffidarne dal punto di vista della ristorazione. Così, sperando che fosse lì solo per servire ai tavoli o per bellezza, le chiesi se per caso avessero cambiato gestione.
"Oh si, certo! L’abbiamo preso due mesi fa con altri amici americani che studiano in Florence. Abbiamo appena riaperto da tre giorni…" Poi, mentre mia moglie aveva già indossato l’aria del “ma dobbiamo proprio? ” aggiunse con la sua vocina alla Heather Parisi: "Oh... ma guarda che si mangia benei, sai? ", annuendo con convinzione per confermarselo.

Quell'ultima precisazione non richiesta, assieme all'uso un po' disinvolto del "tu”, mi riempì il cuore di altri sinistri presagi. L'oste serio non ti dice che il suo vino e' buono. Dovrebbe essere il suo vino a parlare per lui. "Lo immagino... " replicai, e mi venne fuori un mezzo sorriso che in realtà significava: "Lo spero ". Lo sguardo di Morena nel frattempo era passato al livello di : "Sei sempre il solito..."

Appena seduti a tavola esaminai il menu, scritto a mano su di un foglio di carta da macelleria. Era veramente notevole. Non l' elenco delle pietanze, ma il numero di macchie e ditate unte che erano riusciti a fare in soli tre giorni. Davvero una bella impresa! Quanto alle pietanze, come temevo, ero di fronte ad un vero pianto. La lista recitava melanconicamente una serie di proposte che spaziava dagli spaghetti al pomodoro e basilico a quelli al ragù, dalle orecchiette panna e gorgonzola alle immancabili pappardelle panna, prosciutto, piselli (una vergogna nazionale che andrebbe sanzionata severamente...) per terminare con un tristissimo passato di verdura, di chiara ispirazione ospedaliera. Per i secondi, c’era un' ampia scelta che andava dal pollo arrosto a quello lesso (ma con verdure) fino - udite! udite! - alla paillard di vitello ai ferri. Immaginai che, probabilmente, solo il fatto di non essere in stagione ci aveva risparmiato la caprese e il prosciutto e melone. In ogni caso, essendo a Firenze uno si sarebbe aspettato non dico una bella costata di chianina alla brace e una ribollita, ma almeno una tagliata, una minestra di pane, una trippa con i fagioli al fiasco o all'uccelletto, o magari anche solo il minimo sindacale di un antipasto con la finocchiona, ma sul menu non ve n’era traccia alcuna.

Io, invece, ero molto più pacato e composto (forse...)

Sbirciai ansioso Morena intenta alla lettura: "Se abbiamo scarpinato due ore per questo, scusami, ma non mi sembra un granché! Forse era meglio andare in pizzeria come volevo io, non credi? " fu il suo primo commento (mia moglie quando siamo in viaggio cerca sempre per principio di andare a cenare in pizzeria non perché le piaccia particolarmente, ma perché costa poco).
Cercai di recuperare mentendo miserevolmente: "Beh, dai... è vero che sono cose banalotte, ma magari le fanno bene. Lo sai che un piatto di spaghetti al burro fatto come Dio comanda è segno di un grande cuoco, no? Poi la cucina toscana è fatta di sapori e ingredienti semplici. Anzi, che tu ci creda o no, avevo proprio voglia di un bel piatto di orecchiette alla panna e gorgonzola, che e' tanto che non le mangio. "
"Vuol dire che hai ancora nostalgia della mensa aziendale della FIAT... ». L'espressione di mia moglie era ormai passata al livello di: "Ne riparliamo in albergo...

Lasciai subito perdere i discorsi consolatori e la panna con il gorgonzola e mi guardai attorno. Il ristorante era deserto ed era un brutto segno, ma pensai che forse i fiorentini cenavano più tardi. Anzi… c’erano alcune prenotazioni sui tavoli vicini e la cosa mi diede un po' di sollievo. Se qualcuno ha prenotato, pensai ancora per farmi coraggio, vuol dire che non e' poi così male. Lo dissi a Morena che, essendo malfidata, si alzò subito per controllare, poi tornò ghignando "Non c’è scritto nessun nome… forse le tengono per bellezza o per i creduloni come te".

Non raccolsi la provocazione e mentre mi dibattevo nel dubbio se convenisse alzarsi e andare via o restare, tomò la ragazzona a prendere le ordinazioni. Così, per disperazione, ordinammo come antipasto dei crostini con la milza e, passando direttamente ai secondi, l'unica cosa che sembrava appetibile: un tortino di zucchine "specialità della casa, sai ? ". Ordinai anche un mezzo litro di rosso (avevo provato a chiederle la carta dei vini, ma dopo un po' di tentativi di farle comprendere cosa fosse mi ero rassegnato al suo Chianti che era sfuso, sì, ma "tanto, tanto buono, sai ? ").


Siamo in Toscana, se proprio non sapete fare altro,
fatemi almeno una bruschetta con l'aglio e l'olio di frantoio, che diamine!

Visto che ormai il dado era tratto e avendo finalmente dei buoni motivi per farlo, iniziai ad illustrare a Morena (che sentendola da anni, di solito si distrae e guarda il soffitto) la mia teoria sul rapporto tra decadenza dei costumi e tramonto della cultura gastronomica popolare. Avevo appena iniziata la requisitoria contro i Mc Donald's quando arrivò in tavola una bottiglia etichettata Cabernet del Piave (!?) e piena a metà. La presi in mano con orrore, riguardai l'etichetta per esser sicuro di non aver sognato e gliela mostrai : "Scusi, ma ... questa cos'e'?"
"E' il vino, no ? E’ il Chianti… " La ragazzona prese l'aria stupita di chi si era appena sentita domandare la cosa più ovvia del mondo.
"Si, lo vedo e lo spero, ma mi riferisco alla bottiglia che è usata. Perché se il vino si chiama Chianti non può stare dentro una bottiglia che si chiama Cabernet. Le è chiaro questo punto, vero?".
Mi guardo' paziente, come si fa con i clienti un po' troppo esigenti. 
"Oooh! Sii... la botillia ... (sospiro) tu ci devi scusarei, ma il grossista non ci ha ancora mandato i servizi che gli abbiamo ordinato! Ma guarda che la botìllia e' pulita, sai?. "
Morena sussurrò perfida: "Ha ragione, non vedi che luccica? Perché insisti? "

Ero così allibito che non trovai neanche le parole per replicare ad entrambe, tanto più che assieme al vino era arrivata in tavola una ciotolina cinese (?) di quelle azzurre a chicchi di riso contenente la crema di milza da spalmare sui crostini. Che non c'erano.
Dopo una vana attesa richiamai la nostra giovane yankee in salopette: "Signorina, per favore, quando arrivano i crostini? ".
"Oh... ma e' lì davanti a lei! " rispose indicandomi meravigliata il cestino del pane.
Respirai profondamente, mentre Morena guardava di nuovo il soffitto, questa volta per non ridere. 
"Senta, se si chiamano (e lo avete scritto voi...) crostini con la milza, ci devono essere da qualche parte i crostini e non il pane comune! Non le pare?"
"Ma certo che si usa il pane. La milza si spalma su pane. Tu prova a spalmare su pane... e' molto buono, sai ? ". Il tono era quello materno di chi spiega ad uno straniero che gli spaghetti non si mangiano con il cucchiaio.
Mi accingevo a mia volta a rivelarle alcuni punti chiave della cucina toscana quando Morena mi fece arrivare un discreto calcetto sotto la tavola "Probabilmente non sa cosa vuole dire crostino. Prova a dirle: toast... magari funziona." .

Anche stavolta il suo piatto è vuoto, però era il minestrone
con verza, patate e salsiccia del Rifugio Lusia, dunque è normale

Per prudenza, onde non rischiare di vedermi servire un French toast con le uova strapazzate, non seguii il consiglio e dopo averla congedata mi rassegnai a spalmare sulla mezza rosetta (non c'era neppure il pane toscano!), una melmetta grumosa e fredda da freezer che sapeva vagamente da milza.
Arrivò a ruota il pezzo forte della cena: il tortino di zucchine, che era così composto: forma quasi circolare con pareti a tratti bruciacchiate e abbastanza regolari nell'emisfero prospiciente il lato nord del tavolo. Vasto terrazzamento centrale delimitato da quattro fette di zucchina cruda (abbellimento, dimenticanza o delirio del cuoco?) cui seguiva, in direzione sud, una progressiva inclinazione con frane e smottamenti che davano origine ad un'ampia zona acquitrinosa, color giallo uovo con vari sedimenti non classificabili.
"Scusi… e questo cosa sarebbe? " La mia meraviglia ormai non aveva confini.
"Ma e' il tortino di zuchinei ! Lei ha chiesto il tortino di zuchinei… "
Rispose ormai rossa in viso e spazientita da quel cliente così pignolo che faceva una questione di ogni cosa .
"Guardi, sicuramente in America sarà così, non lo discuto, ma dalle mie parti, una roba del genere, se proprio va bene, viene classificata come frittata e quando invece riesce così, viene denominata un castròn"
"What's castròn ?" La giovanottona sgrano' gli occhioni azzurri come folgorata. Che avesse capito l'ingiurioso giudizio in veneziano sul suo "tortino di zuchinei,  specialità della casa e tanto, tanto buono sai?" ?
Mentre cercava di riaversi, assaggiai, ma solo per educazione, un pezzetto del tortino prelevandolo con cautela dal lato nord, quello bruciacchiato forse per una cottura con la fiamma ossidrica, ma che con un po' di fantasia poteva anche sembrare una crosticina. Il sapore, come temevo, era coerente con l'aspetto scandaloso del piatto. Fissai la ragazza con tutta la riprovazione di cui ero capace.
"L'avete assaggiato in cucina?"
"Non so, è cuoco in cucina, devo domandare al cuoco... perché tu chiedi questo?"
"E' completamente senza sale... e' vero che qui in Toscana si usa il pane senza sale, ma solo il pane. Dovrebbe spiegarlo al vostro cuoco, perché così è immangiabile".
Dopo una pausa per calmare lo sdegno che le faceva gonfiare ritmicamente il petto dentro la salopette sbuffò, stufa di noi e dei nostri capricci: "Ma se tu no piace tortino, io lo porta via".
Morena, che quando serve è donna di pochi convenevoli, s’intromise decisa: "Si, grazie, lo porti pure via. Vorremmo due caffè e il conto. "

Il caffè, brodoso il giusto, arrivò servito in due bicchierini di plastica di quelli delle macchinette che si usano negli uffici e in ospedale (sempre per via del perfido grossista che...). Quanto al conto, accompagnato sul piattino da due caramelle di liquirizia, era, come temevamo, in linea con i peggiori prezzi turistici fiorentini. Lasciammo le banconote sul tavolo senza discutere ulteriormente (perchè noblesse oblige) e ci avviammo alla porta. Che ci fu aperta da una nuova americanina (la prima, forse, si era buttata sul letto a piangere) anche lei pimpante e sorridente. "Tutto benei ?" ci chiese ansiosa.
"Certo, grazie, e complimenti per il pane… era davvero squisito! " fu la nostra sdegnata risposta e nuovamente ci perdemmo (affamati come lupi) nelle buie stradine attorno a Santa Croce alla ricerca almeno di una pizza al taglio.

2 commenti:

  1. Mia madre era piemontese e mio padre Milanese di nome e di fatto.In casa ‘Milanese’, per ironia, prevaleva la cucina piemontese fatta d’interiora bollite, crema fritta e bagna càuda. Papà però, una volta la settimana pretendeva il risotto allo zafferano con l’ossobuco e la cassÖla, tipico piatto popolare milanese a base di verza, parti povere del maiale e salsiccia...

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    1. Caro Gianni (sei Gianni, vero?)a quanto pare abbiamo esperienze comuni anche in questo, dal momento che mia madre era nata a Canelli ed aveva vissuto tanti anni ad alessandria e mio padre era milanesissimo, nato in via Verdi a due passi dalla Scala. Anche nei piatti che descrivi mi riconosco e dovremo parlarne prima o poi di questi bellissimi ricordi comuni, naturalmente davanti ad una buona bottiglia.

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