giovedì 13 aprile 2017

Delle vecchiette incaute che si perdono tra i boschi dell'Arizona

Ogni tanto i quotidiani nazionali ci regalano qualche perla. Infatti, ho appena letto una notizia di spalla con tanto di servizio fotografico e il titolo: "Esploratrice si perde nella foresta, un SOS di bastoncini la salva (avrebbe scritto Help, veramente, ma non stiamo a sottilizzare) " e tu pensi istantaneamente con emozione alla vicenda di un'avventurosa eroina come Amelia Earhart persa tra le foreste del Borneo o ad una Freya Stark smarrita tra le oasi del deserto e invece, proseguendo nella lettura, scopri che l'esploratrice è solo una smilza e truccatissima vecchietta di 72 anni di Tucson che andava a trovare i nipoti (dove abitavano? nel ranch di Bonanza?) e che, rimasta a secco di gas con la sua auto (cosa guidava la nonnina? Una Duna con impianto a metano?), si era messa a girovagare perdendosi per nove giorni tra i boschi dell'Arizona e facendo una salutare quanto involontaria dieta Mességué a base di bacche, erbe e acqua piovana. Ora, il fatto che una girovaghi sperduta per una foresta perché ha finito il carburante e il suo Nokia del 1994 guarda caso non prende il segnale, avrebbe dovuto suggerire al titolista che la signora non esplorava affatto per spirito di avventura, ma solo per sfiga. Ovviamente, i soccorritori avevano trovato subito il suo cane, ma solo perché l'unico esploratore vero della vicenda era lui, e comunque immagino che la bestiola avesse rifiutato ogni collaborazione pensando "Che si salvi da sola quella vecchia arpia, che lesina sulle crocchette e le compera scadute e ammuffite per risparmiare". Poi, fortunatamente, qualche giorno dopo, grazie ad un elicottero che ha visto il segnale di soccorso, hanno recuperato anche l'arzilla vecchietta e come nei film abbiamo avuto il lieto fine, anzi: l'happy end. 


Momento critico durante un guado .


Certo che quella volta in cui mi sono perso tra i boschi del Resciesa andando a funghi e sono sbucato fuori verso le undici di sera sulla strada statale in un punto che ero quasi arrivato a Santa Cristina anziché ad Ortisei, nutrendomi solo di fragole e lamponi, magari un trafiletto, anche nella cronaca sportiva, il Gazzettino o l'Adige dell'epoca potevano dedicarmelo, anche perché comunque avevo con me una decina di porcini, un paio di sbrise e oltre un chilo di finferli, che era pur sempre un gran bel risultato (servì a mitigare l'incazzatura di mia madre una volta rientrato a casa con l'autostop). La drammatica immagine che riporto qui sotto è di quegli anni e mi ritrae in mezzo ai boschi gardenesi nel momento in cui attraversando a guado un torrente ero scivolato e avevo messo lo scarpone in acqua costringendomi alla manovra di emergenza dello strizzamento del calzettone di lana, proprio come Messner durante la scalata della parete sud dell'Annapurna.

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